Corte Costituzionale, sentenza 10 marzo – 5 maggio 2021, n. 87
Presidente Coraggio – Redattore Amoroso
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 21 maggio 2020 (reg. ord. n. 151 del 2020), il Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 8 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», dell’art. 91 del codice di procedura civile, dell’art. 8, commi 1 e 2, della legge 8 marzo 2017, n. 24 (Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie), dell’art. 669-quaterdecies e dell’art. 669-septies cod. proc. civ., per contrasto con gli artt. 2, 3, 24 e 32 della Costituzione, nella misura in cui escludono, in conformità al diritto vivente, che il giudice possa addebitare, in tutto o in parte, a carico di una parte diversa da quella ricorrente, il costo, comprensivo di compensi ed esborsi, dell’attività del collegio peritale nominato nel procedimento di cui all’art. 696-bis cod. proc. civ., che il predetto art. 8 della legge n. 24 del 2017 ha reso condizione di procedibilità della domanda giudiziale di merito in materia di responsabilità sanitaria.
Il giudice a quo riferisce che era stato proposto dinanzi a sé un ricorso per l’accertamento di gravi danni alla persona derivanti da un errore medico, mediante il quale era stata “preannunciata” l’intenzione di proporre la successiva azione di merito per ottenere il risarcimento degli stessi. A fronte della contestazione della dedotta responsabilità da parte dell’Azienda sanitaria resistente, era stata disposta consulenza tecnica medico-legale e l’acconto del compenso del collegio peritale era stato posto a carico delle parti in solido. I consulenti tecnici d’ufficio avevano accertato l’errore dei sanitari intervenuti e la sussistenza di un nesso di causalità tra lo stesso ed i danni arrecati al paziente (nella misura del 50 per cento della perdita permanente dell’integrità psico-fisica) e richiesto, a seguito del deposito dell’elaborato, la liquidazione definitiva del compenso.
Ciò premesso, il giudice rimettente sottolinea che sulla questione dell’addebito dei costi della consulenza tecnica collegiale – controversa tra le parti del procedimento – il diritto vivente, con riguardo alla consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite di cui all’art. 696-bis cod. proc. civ., ha affermato i medesimi principi operanti per i procedimenti di istruzione preventiva e ciò ha ritenuto anche con riferimento alla consulenza tecnica preventiva di cui all’art. 8 della legge n. 24 del 2017 (Corte di cassazione, sezione sesta civile, sottosezione terza, ordinanza 22 ottobre 2018, n. 26573), nel senso che, al termine di tali procedimenti, le spese devono essere poste a carico della parte richiedente, in virtù del principio di anticipazione delle spese processuali, salva la possibilità di una differente statuizione sul punto nel capo della decisione conclusiva del giudizio di merito nell’ipotesi di soccombenza della parte resistente.
Il giudice rimettente dubita, in riferimento agli indicati parametri, della legittimità costituzionale di tale assetto in una ipotesi, come quella della responsabilità sanitaria, nella quale il procedimento di cui all’art. 8 della legge n. 24 del 2017, che richiama l’art. 696-bis cod. proc. civ., costituisce condizione di procedibilità della domanda di merito. Invero, il dovere del giudice di porre in ogni caso, ossia a prescindere dagli esiti dell’accertamento peritale, i costi dello stesso – talvolta ingenti, trattandosi di consulenze di carattere collegiale – a carico della parte ricorrente potrebbe rappresentare, anche per le parti che non hanno i requisiti residuali per accedere al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, un ostacolo all’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale, producendo una disparità di trattamento determinata dalle capacità economiche della parte, in violazione dell’art. 3 Cost. e, di conseguenza, un accesso differenziato alla tutela giurisdizionale, garantito dall’art. 24 Cost., con inevitabile rischio di pregiudizio per la tutela del diritto alla salute ex art. 32 Cost.
Evidenzia inoltre il giudice rimettente che i dubbi di legittimità costituzionale non potrebbero essere superati in virtù della possibilità della parte ricorrente di optare, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale nella materia della responsabilità sanitaria, anche per la mediazione obbligatoria di cui all’art. 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), e ciò in quanto i costi di tale procedimento sono inferiori solo nell’ipotesi, del tutto eventuale, nella quale la parte resistente non partecipi alla procedura in questione, pur restando ferma l’innegabile differenza costituita dalla regola della solidarietà delle spese complessive del procedimento di mediazione tra le parti, in conformità dell’art. 16, comma 11, del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180 (Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28).
Il giudice a quo precisa, poi, che i dubbi di legittimità costituzionale rispetto agli indicati parametri si appuntano esclusivamente sulla necessità di porre a carico della parte ricorrente i costi, talvolta considerevoli, della consulenza medica collegiale espletata nel procedimento ex artt. 8 della legge n. 24 del 2017 e 696-bis cod. proc. civ., e ciò anche quando, come nella fattispecie posta all’attenzione dello stesso, gli esiti dell’elaborato peritale abbiano accertato la responsabilità della parte resistente.
Con atto depositato in data 17 novembre 2020, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo in via pregiudiziale l’inammissibilità delle questioni per essere le censure, rispetto ai parametri evocati, ed in particolare all’art. 2 Cost., svolte in modo generico. Le questioni sarebbero comunque inammissibili per carente descrizione della fattispecie concreta, ridondante sulla rilevanza, poiché nell’ordinanza di rimessione non è indicato il reddito dei ricorrenti per poter consentire di valutarne le difficoltà economiche nel sostenere i costi della consulenza.
L’Avvocatura eccepisce inoltre l’irrilevanza delle questioni, atteso che il procedimento è stato ormai definito con il deposito della relazione, con conseguente possibilità per la parte ricorrente di proporre la domanda giudiziale.
Altro motivo di inammissibilità sarebbe costituito, secondo la difesa dello Stato, dalla circostanza che la parte ricorrente non deve necessariamente proporre il ricorso ex art. 696-bis cod. proc. civ. per assolvere alla condizione di procedibilità della domanda in materia di responsabilità sanitaria, in quanto può promuovere, in alternativa, la mediazione obbligatoria, nella quale i costi dell’accertamento peritale sono espressamente posti dalla normativa di attuazione a carico delle parti in solido.
Nel merito, il Presidente del Consiglio dei ministri deduce, in ogni caso, la non fondatezza delle questioni, in quanto il Tribunale a quo muove da un erroneo presupposto interpretativo perché la stessa giurisprudenza di legittimità richiamata nell’ordinanza di rimessione potrebbe essere intesa, laddove afferma che i costi della consulenza tecnica nel procedimento di accertamento tecnico preventivo devono essere posti a carico del ricorrente, quale riferita al soggetto interessato all’espletamento dello stesso, che potrebbe essere individuato anche nella parte resistente ove abbia aderito alla necessità di svolgere accertamenti tecnici.
Sempre sul piano della non fondatezza delle censure, l’Avvocatura rimarca che, in realtà, dalla giurisprudenza di legittimità si trae una distinta considerazione delle spese della consulenza tecnica d’ufficio e di quelle di lite, per le quali ultime soltanto è consolidato il principio che non ne consente la liquidazione al termine del procedimento di accertamento tecnico preventivo.
Considerato in diritto
1.– Con ordinanza del 21 maggio 2020 (reg. ord. n. 151 del 2020), il Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 8 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», e 8, commi 1 e 2, della legge 8 marzo 2017, n. 24 (Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie), nonché degli artt. 91, 669-quaterdecies e 669-septies del codice di procedura civile, per violazione degli artt. 2, 3, 24 e 32 della Costituzione, nella misura in cui escludono che il giudice possa addebitare, totalmente o parzialmente, a una parte diversa da quella ricorrente, il costo, comprensivo di compensi ed esborsi, dell’attività del collegio nominato per lo svolgimento della consulenza tecnica d’ufficio nel procedimento di cui agli artt. 696-bis cod. proc. civ. e 8 della legge n. 24 del 2017, che ha reso tale procedimento condizione di procedibilità della domanda giudiziale di merito.
Il rimettente precisa che la questione di legittimità costituzionale che egli «sottopone alla Corte non ha ad oggetto l’intero regime delle spese processuali conseguenti all’espletamento del procedimento di cui all’art. 8 della legge n. 24/2017 e 696-bis del codice di procedura civile, ma solo gli esborsi connessi al costo della CTU, identificabili nel compenso del collegio peritale e nelle spese vive sostenute da esso sostenute». Sostiene il giudice a quo che «l’esito dell’eventuale pronuncia di incostituzionalità potrà ben esser circoscritto alle spese di CTU» e, a tale fine, ricorda il disposto dell’art. 23, comma 2, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), in materia di rito cautelare commerciale, poi interamente abrogato, secondo cui «[i]l magistrato designato provvede, in ogni caso, sulle spese del procedimento a norma degli articoli 91 e seguenti del codice di procedura civile».
Il rimettente ricorda, altresì, che la giurisprudenza di legittimità (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 28 aprile 1989, n. 2021) ha affermato che «la pronunzia di condanna alle spese può essere pronunziata anche con interlocutio nel corso del giudizio, anziché con sententia e, quindi, prescindendo dalla soccombenza della parte in punto di merito». E ha precisato ulteriormente: «Non v'è dubbio, quindi, che la liquidazione delle spese operata addirittura nel corso del giudizio, e, quindi, prescindendo dalla pronunzia sulla soccombenza nel merito, ed operata con interlocutio anziché con sententia, sia, pur nella sua peculiarità, nostra tradizione giuridica, finalizzata allo sveltimento dei processi in funzione dell’economia dei giudizi, secondo la direttiva stessa impressa al codice di procedura civile per evitare lo spreco di giurisdizione».
Risulta pertanto – al là di una qualche ambiguità dell’ordinanza di rimessione – che il giudice rimettente, il quale ha già provveduto a porre l’anticipazione delle spese della consulenza a carico di entrambe le parti in solido, vorrebbe potere pronunciare la condanna al pagamento delle spese della consulenza tecnica, come spese processuali, già all’esito del procedimento di consulenza tecnica preventiva, tenendo conto dell’esito favorevole al ricorrente, senza che la loro regolamentazione sia necessariamente differita all’esito del successivo giudizio di merito sulla pretesa risarcitoria. Ha, però, ben presente che quando, in un caso, il giudice, all’esito del procedimento di consulenza tecnica preventiva ex art. 8 della legge n. 24 del 2017, aveva in effetti provveduto sulle spese processuali, la pronuncia è stata ritenuta “abnorme” dalla giurisprudenza di legittimità (Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 22 ottobre 2018, n. 26573), che ha chiarito che in ogni caso il regolamento delle spese processuali è differito all’esito del giudizio di merito avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria sulla base del criterio della soccombenza.
Tale necessario differimento, ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, che sul punto il giudice rimettente assume essere diritto vivente, potrebbe costituire, per chi non ha i requisiti reddituali per accedere al beneficio del patrocinio a spese dello Stato e non di meno versa in condizioni economiche precarie, un ostacolo eccessivo – secondo la prospettazione del giudice a quo – all’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) e ridonderebbe in disparità di trattamento, così determinando un accesso differenziato alla tutela giurisdizionale in ragione delle capacità economiche della parte ricorrente (art. 3 Cost.).
2.– In via preliminare, l’oggetto delle questioni deve essere circoscritto all’art. 8, commi 1 e 2, della legge n. 24 del 2017, ossia alla disciplina della consulenza tecnica preventiva introdotta dalla stessa legge n. 24 del 2017 come condizione di procedibilità della domanda di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria.
Dalla motivazione dell’ordinanza di rimessione si evince chiaramente, infatti, che le altre disposizioni, pur parimenti indicate come censurate, sono in realtà richiamate al solo fine di illustrare il più ampio contesto normativo nel quale si colloca la fattispecie oggetto dei dubbi di legittimità costituzionale.
In particolare si ha che il giudice rimettente, come risulta dall’ordinanza di rimessione, ha già fatto applicazione dell’art. 8 del d.P.R. n. 115 del 2002 – che stabilisce che «[c]iascuna parte provvede alle spese degli atti processuali che compie e di quelli che chiede e le anticipa per gli atti necessari al processo quando l’anticipazione è posta a suo carico dalla legge o dal magistrato» – e, nella specie, ha posto tale anticipazione a carico di entrambe le parti, ricorrente e resistente, in solido tra loro.
L’intervenuta applicazione da parte del giudice a quo della disposizione censurata costituisce ragione di inammissibilità della questione (ordinanze n. 269 del 2020, n. 289 del 2011 e n. 300 del 2009).
Le altre disposizioni, parimenti indicate come censurate, riguardano la disciplina delle spese processuali, sia in generale (art. 91 cod. proc. civ.), sia nel procedimento cautelare uniforme (artt. 669-quaterdecies e 669-septies cod. proc. civ.), mentre le censure del giudice rimettente si focalizzano sulla sorte delle spese processuali all’esito dello speciale procedimento di consulenza tecnica preventiva previsto dall’art. 8 della legge n. 24 del 2017, che contiene sì una norma derogatoria quanto alle spese processuali (nel caso in cui la parte resistente non partecipi al procedimento), ma non contempla alcuna norma che consenta al giudice, all’esito del procedimento preliminare, di regolare le spese processuali dello stesso, neppure limitatamente alle spese della consulenza tecnica.
Quindi gli artt. 91, 669-quaterdecies e 669-septies cod. proc. civ. rilevano solo come contesto normativo di riferimento e non sono attinti dalle censure di illegittimità costituzionale che riguardano solo l’art. 8, commi 1 e 2, della legge n. 24 del 2017.
Sono pertanto inammissibili le questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto sia l’art. 8 del d.P.R. n. 115 del 2002, sia gli artt. 91, 669-quaterdecies e 669-septies cod. proc. civ.
3.– In linea ancora preliminare, occorre esaminare le eccezioni di inammissibilità sollevate dall’interveniente.
3.1.– L’Avvocatura generale dello Stato assume, in primo luogo, l’inammissibilità delle questioni per essere le censure svolte in modo generico.
L’eccezione deve essere accolta con riguardo ai parametri di cui agli artt. 2 e 32 Cost., in riferimento ai quali le questioni di legittimità costituzionale sollevate sono inammissibili, stante la carenza di un’adeguata e autonoma illustrazione delle ragioni per le quali la norma censurata integrerebbe una violazione dei parametri costituzionali evocati (ex plurimis, sentenze n. 30 del 2021, n. 54 del 2020, n. 33 del 2019 e n. 240 del 2017).
Nella specie, il giudice rimettente si è limitato ad indicare la violazione degli artt. 2 e 32 Cost., ma ha omesso del tutto di argomentarne le ragioni, sviluppate esclusivamente con riguardo agli artt. 3 e 24 Cost., quanto all’onere, ritenuto eccessivo e discriminatorio, dei costi della consulenza tecnica collegiale nell’accertamento tecnico preventivo in esame, se necessariamente gravanti sulla parte ricorrente.
3.2.– L’Avvocatura generale eccepisce, inoltre, l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale per carente descrizione della fattispecie concreta, ridondante sulla rilevanza, poiché non è indicato il reddito dei ricorrenti per consentire di valutarne le effettive difficoltà economiche nel sostenere i costi della consulenza medica collegiale.
L’eccezione è priva di fondamento atteso che le censure formulate nell’ordinanza di rimessione sottendono una questione di carattere più generale, afferente la legittimità costituzionale di un sistema, nel quale tutti gli oneri, ed in specie anche quelli della consulenza tecnica d’ufficio, si assume che siano a carico della parte ricorrente, la quale, nella materia della responsabilità sanitaria, è tenuta a proporre il ricorso ex art. 696-bis cod. proc. civ. che costituisce, ai sensi dell’art. 8, comma 2, della legge n. 24 del 2017, condizione di procedibilità della domanda giudiziale di merito.
3.3.– L’Avvocatura deduce, altresì, il difetto di rilevanza delle questioni, poiché è stato ormai definito, nel giudizio a quo, il procedimento con il deposito della relazione, sicché la necessità di liquidare il compenso al collegio peritale non influirebbe sulla possibilità dei ricorrenti di proporre la domanda giudiziale.
Anche tale eccezione non è fondata.
Certamente non rileva la disciplina dell’anticipazione delle spese della consulenza tecnica (art. 8 del d.P.R. n. 115 del 2002), atteso che – come prima osservato – il giudice ha già provveduto in proposito e quindi ha ormai applicato tale norma.
D’altra parte la liquidazione del compenso del consulente (art. 168 del d.P.R. n. 115 del 2002) non è ancora avvenuta ed è all’esito del procedimento di consulenza tecnica preventiva che il giudice rimettente vorrebbe, contestualmente, regolare le spese della consulenza, addebitandole ad una parte piuttosto che ad un’altra, ma non rinviene nell’art. 8 della legge n. 24 del 2017 una disposizione che l’autorizzi a emettere una pronuncia di condanna: in ciò starebbe il deficit di tutela della parte ricorrente con riferimento agli evocati parametri.
Sussiste pertanto la pregiudizialità delle sollevate questioni di legittimità costituzionale (ex multis, sentenze n. 224 del 2020 e n. 105 del 2018), le quali sono sotto questo profilo ammissibili.
3.4.– Ulteriore motivo di inammissibilità delle questioni sarebbe costituito, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, dalla circostanza che la parte ricorrente non deve necessariamente utilizzare il procedimento di cui all’art. 696-bis cod. proc. civ. quale condizione di procedibilità della domanda in materia di responsabilità sanitaria, in quanto ha la possibilità di optare, in alternativa, per la mediazione, nella quale i costi dell’accertamento peritale sono espressamente posti dalla normativa di attuazione a carico delle parti in solido.
Tale eccezione deve essere disattesa, poiché attiene a un profilo che rientra nella valutazione sulla fondatezza nel merito delle questioni sollevate (sentenze n. 237 del 2020 e n. 35 del 2017).
4.– Passando al merito, giova premettere – quanto al contesto normativo di riferimento – che la disposizione censurata (art. 8, commi 1 e 2, della legge n. 24 del 2017) ha prescritto che colui il quale intenda esercitare un’azione, innanzi al giudice civile, relativa a una controversia di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria è tenuto preliminarmente a proporre ricorso ai sensi dell’art. 696-bis cod. proc. civ. dinanzi al giudice competente (comma 1), quale condizione di procedibilità della domanda di risarcimento (comma 2), della cui legittimità il giudice rimettente non dubita.
Il richiamato art. 696-bis cod. proc. civ., a sua volta, prevede l’istituto della consulenza tecnica conciliativa che offre alle parti la possibilità di ottenere, in via preventiva rispetto all’instaurazione del processo, una valutazione tecnica in ordine all’esistenza del fatto e all’entità del danno, nell’auspicio che, proprio sulla scorta di tale valutazione, le parti possano trovare un accordo che renda superflua l’instaurazione del successivo giudizio di merito.
Il previo svolgimento dinanzi all’autorità giudiziaria del procedimento di cui all’art. 696-bis cod. proc. civ. è finalizzato non solo alla definizione in via conciliativa della controversia, ma anche ad anticipare un segmento istruttorio fondamentale per la risoluzione di alcune cause caratterizzate – come quelle in tema di responsabilità sanitaria – da questioni soprattutto tecniche.
Questa peculiare forma di giurisdizione condizionata – prevista dalla disposizione censurata – persegue una chiara finalità deflattiva nella misura in cui il necessario previo espletamento della consulenza medico-legale mira a favorire l’accordo tra le parti, risolvendo le questioni tecniche sulle quali si fondano spesso le pretese di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria.
In questa prospettiva è previsto anche che l’espletamento della consulenza nella materia della responsabilità sanitaria deve essere affidato «a un medico specializzato in medicina legale e a uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento». Pertanto la consulenza deve essere, di norma, collegiale, affidata a professionisti con specifici requisiti, sì da essere funzionale, anche per la sua maggiore attendibilità, a favorire l’auspicato esito conciliativo della lite.
La condizione di procedibilità contemplata dall’art. 8 della legge n. 24 del 2017 è soddisfatta se il tentativo di conciliazione esperito dal consulente tecnico all’esito degli accertamenti peritali è fallito o, in ogni caso, se sono trascorsi inutilmente sei mesi dal deposito del ricorso.
Nel contemplare tale condizione di procedibilità, inoltre, il legislatore, allo scopo di favorire la conciliazione mediante una effettiva partecipazione di tutte le parti al relativo procedimento, ha anche stabilito che, in caso di mancata partecipazione alla fase conciliativa, il giudice, con il provvedimento che definisce il giudizio di merito, condanna le parti che non hanno partecipato al pagamento delle spese di consulenza e di lite, indipendentemente dall’esito di tale giudizio, oltre che ad una pena pecuniaria, determinata equitativamente, in favore della parte che è comparsa alla conciliazione (art. 8, comma 4, ultimo periodo, della predetta legge n. 24 del 2017).
Il comma 3 del predetto art. 8 stabilisce, poi, che gli effetti della domanda sono fatti salvi qualora, nel termine di novanta giorni successivi al deposito della relazione o al decorso di sei mesi dal deposito del ricorso per consulenza tecnica preventiva, venga introdotto il giudizio di merito.
Se, invece, tale giudizio è iniziato senza che sia stata espletata la consulenza, ai sensi dell’art. 8, comma 2, il giudice deve assegnare alle parti un termine di quindici giorni per la presentazione dinanzi a sé dell’istanza di consulenza tecnica in via preventiva ovvero di completamento del procedimento. Pertanto, quella contemplata dall’art. 8, commi 1 e 2, della legge n. 24 del 2017, costituisce una condizione di procedibilità, e non di proponibilità, della domanda giudiziale, che deve sussistere al momento della proposizione della domanda.
Comunque è fatta salva la possibilità di esperire, in alternativa al ricorso ai sensi dell’art. 696-bis cod. proc. civ., il procedimento di mediazione di cui all’art. 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali). Sicché la parte che voglia esercitare un’azione di responsabilità sanitaria può scegliere la via che ritiene più idonea per soddisfare la condizione di procedibilità.
5.– Ciò premesso, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Firenze in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., non sono fondate.
6.– Come già sopra rilevato, le censure mosse dal rimettente, riguardanti in particolare l’onere del costo della consulenza peritale, si appuntano sul regime delle spese processuali relative all’accertamento tecnico preventivo in esame, quale deve considerarsi anche la consulenza tecnica preventiva di cui all’art. 8 della legge n. 24 del 2017, e non invece sulla regola dell’anticipazione delle spese della consulenza tecnica (ex art. 8 del d.P.R. n. 115 del 2002), avendo il giudice già provveduto in proposito facendo applicazione di tale disposizione, né sulla liquidazione, con decreto, delle spettanze ai consulenti d’ufficio ai sensi dell’art. 168 del d.P.R. n. 115 del 2002, previsione che infatti il giudice rimettente neppure richiama.
Sotto questo profilo – quello della regolamentazione delle spese processuali – viene in rilievo l’art. 669-quaterdecies cod. proc. civ. che stabilisce, tra l’altro, che ai procedimenti di istruzione preventiva, e quindi anche alla consulenza tecnica preventiva di cui all’art. 696-bis cod. proc. civ. e a quella di cui all’art. 8 della legge n. 24 del 2017, si applica altresì l’art. 669-septies cod. proc. civ., secondo cui il giudice provvede definitivamente sulle spese processuali in caso di ordinanza di incompetenza o di rigetto, che comprende anche l’ipotesi dell’inammissibilità della domanda; ossia casi in cui l’accertamento tecnico preventivo non ha luogo.
Da ciò discende che in tutti gli altri casi – ossia quando invece ha avuto normalmente corso l’accertamento tecnico preventivo previsto dalla disposizione censurata ed è giunto a conclusione con il deposito dell’elaborato peritale – il giudice non può provvedere sulle spese – come correttamente assume il rimettente – e, se ciò fa, la pronuncia di condanna di una parte, a favore dell’altra, del pagamento delle spese della consulenza – e in generale delle spese del procedimento – è considerata dalla giurisprudenza come “abnorme” e quindi contra ius (Corte di cassazione, sezione sesta civile, sottosezione terza, ordinanza 22 ottobre 2018, n. 26573).
Il regolamento delle spese, anche di quelle della consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis cod. proc. civ., è sempre rimesso ad una fase successiva, ancorché non necessaria, ma eventuale: quella del giudizio di merito promosso con l’atto introduttivo divenuto procedibile.
Il rimettente vorrebbe invece una diversa disciplina che attenui il nesso di strumentalità dell’accertamento tecnico preventivo rispetto al giudizio di merito, sì da consentire al giudice di regolare le spese processuali, e segnatamente quelle della consulenza tecnica, già all’esito del procedimento stesso.
7.‒ Una siffatta disciplina – in disparte i provvedimenti cautelari a strumentalità attenuata per i quali è contemplato il potere del giudice di liquidare in ogni caso le spese processuali all’esito del procedimento – è in effetti prevista in un’altra analoga fattispecie di accertamento tecnico preventivo, che parimenti condiziona la procedibilità dell’azione giudiziaria.
L’art. 445-bis cod. proc. civ. stabilisce che, nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti deve presentare al tribunale istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere.
Anche in questa fattispecie l’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale, che questa Corte ha ritenuto compatibile con il diritto alla tutela giurisdizionale, garantito dall’art. 24 Cost. (sentenza n. 243 del 2014).
Terminate le operazioni peritali, in assenza di contestazioni delle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio e quindi sussistendo l’accordo, espresso o tacito, delle parti sull’esito dell’accertamento tecnico preventivo, il giudice, con il decreto di omologa dell’accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico d’ufficio, «provvede […] sulle spese».
Ciò invece non è previsto che il giudice possa fare in alcun caso nella parallela ipotesi della consulenza tecnica preventiva ex art. 8 della legge n. 24 del 2017, oggetto delle questioni di legittimità costituzionale.
Ma può subito notarsi che sussiste una ragione giustificativa del diverso regime, rispetto a quello della disposizione censurata che non contempla – anzi esclude – che il giudice possa provvedere sulle spese. Il giudice, nel procedimento ex art. 445-bis cod. proc. civ., regola le spese quando la fase dell’accertamento tecnico preventivo chiude il contenzioso in ragione dell’accordo delle parti, espresso o tacito (per mancata tempestiva contestazione delle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio), sì da non essere seguita da un giudizio ordinario sulla pretesa del ricorrente.
Invece nel procedimento ex art. 8 della legge n. 24 del 2017 questa verifica, da parte del giudice, in ordine all’accordo delle parti sull’esito dell’accertamento peritale, non è prevista e ciò giustifica che in nessun caso il giudice possa provvedere sulle spese processuali.
Del resto, in assenza di un accordo tra le parti, il giudice non avrebbe un criterio per regolare le spese della consulenza tecnica preventiva ex art. 8 della legge n. 24 del 2017, come spese processuali, mancando in questa fase una vera e propria soccombenza, quali che siano le conclusioni dell’elaborato peritale. Mentre – può notarsi – le spese dell’ordinaria consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis cod. proc. civ., non costituendo un atto necessario del processo, ma rispondendo ad una libera scelta della parte, non hanno natura giudiziale e non appartengono alle spese di lite, perché relative a una fase stragiudiziale non necessaria (Corte di cassazione, terza sezione civile, ordinanza 3 settembre 2019, n. 21975).
8.– Si ha quindi che nella fattispecie in esame il differimento della regolamentazione delle spese processuali, comprensive delle spese della consulenza tecnica, all’esito del giudizio di merito avente ad oggetto la pretesa risarcitoria è giustificato e non crea un ostacolo, eccessivo e rigido, che – in ragione delle condizioni economiche del ricorrente, in ipotesi precarie, ma non tali da consentire l’accesso al patrocinio a spese dello Stato – possa pregiudicare il diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.).
Questa Corte, a fronte della denunciata illegittimità per contrasto con l’art. 24 Cost. di forme di giurisdizione condizionata, ha costantemente affermato il principio secondo cui il rispetto di tale parametro non impone una correlazione assoluta tra il sorgere del diritto e la sua azionabilità, che può essere differita ad un momento successivo ove ricorrano esigenze di ordine generale e superiori finalità di giustizia (ex multis, sentenze n. 98 del 2014, n. 276 del 2000, n. 406 del 1993 e n. 154 del 1992; ordinanza n. 251 del 2003). Tale principio è stato ribadito anche con riguardo all’accertamento tecnico preventivo di cui all’art. 445-bis cod. proc. civ. (sentenza n. 243 del 2014).
Inoltre, il legislatore dispone di un’ampia discrezionalità nella conformazione degli istituti processuali, incontrando il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute; limite che viene superato esclusivamente qualora emerga un’ingiustificabile compressione del diritto di agire (sentenze n. 225 del 2018, n. 44 del 2016 e n. 335 del 2004), mediante l’imposizione di oneri o modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività processuale (ex plurimis, sentenze n. 271 del 2019, n. 199 del 2017, n. 121 e n. 44 del 2016).
Vi è, inoltre, che nelle controversie in tema di responsabilità sanitaria disciplinate dalla legge n. 24 del 2017, la durata del giudizio di merito, che la stessa disposizione censurata prevede che si svolga nelle forme del procedimento sommario di cognizione ex artt. 702-bis e seguenti cod. proc. civ., dovrebbe essere tendenzialmente breve sia per la connotazione deformalizzata del rito, sia per la già avvenuta anticipazione del segmento istruttorio fondamentale della consulenza tecnica.
Nella valutazione di non fondatezza della censura sollevata in riferimento all’art. 24 Cost. concorre anche la considerazione che l’art. 8, comma 2, della legge n. 24 del 2017, individua, quale condizione di procedibilità alternativa, la mediazione di cui al d.lgs. n. 28 del 2010. Il ricorrente può quindi scegliere una via per lui meno onerosa, dal momento che la consulenza tecnica d’ufficio è espressamente posta a carico delle parti in solido dall’art. 16, comma 11, del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180 (Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28).
9.‒ La questione di legittimità costituzionale delle norme censurate non è fondata neppure in riferimento all’art. 3 Cost.
Sotto tale profilo il giudice rimettente assume che l’anticipazione dei costi della consulenza potrebbe determinare disparità rispetto al diritto di accesso al giudice a seconda delle condizioni economiche delle parti.
Tuttavia, nelle ipotesi in cui la parte ricorrente abbia i presupposti reddituali per ottenere il beneficio del patrocinio a spese dello Stato ai sensi dell’art. 76 del d.P.R. n. 115 del 2002, la situazione di disparità economica della stessa è riequilibrata dalla prenotazione a debito dei costi della consulenza medico legale (sentenze n. 268 e n. 80 del 2020 e n. 77 del 2018).
Né, sotto tale profilo, la questione può ritenersi fondata con riferimento ai soggetti esclusi da tale beneficio per avere un reddito superiore a quello previsto dal predetto art. 76, i quali potrebbero essere, in concreto, in difficoltà nel sostenere l’anticipazione delle spese della consulenza tecnica poiché, come ha più volte ribadito questa Corte, la disciplina in materia di patrocinio dello Stato ha anch’essa natura processuale di talché nella conformazione della stessa il legislatore gode di ampia discrezionalità (ex plurimis, sentenze n. 1 del 2021, n. 80 e n. 47 del 2020) ed il correlato limite della non manifesta arbitrarietà della regolamentazione non è superato in un assetto nel quale la regolamentazione delle spese della consulenza tecnica come spese processuali è differita all’esito del giudizio di merito avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria sulla base della soccombenza (art. 91, primo comma, cod. proc. civ.).
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)» e degli artt. 91, 669-quaterdecies e 669-septies del codice di procedura civile, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 32 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, commi 1 e 2, della legge 8 marzo 2017, n. 24 (Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie), sollevate, in riferimento agli artt. 2 e 32 Cost., dal Tribunale ordinario di Firenze con l’ordinanza indicata in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, commi 1 e 2, della legge n. 24 del 2017, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dal Tribunale ordinario di Firenze con l’ordinanza indicata in epigrafe.